Aiace è una delle 7 Tragedie di Sofocle che ci sono pervenute. Si presume che sia stata rappresentata per la prima volta intorno al 445 a.C.
Aiace è un guerriero dell’esercito greco che si fa tanto valere per audacia e abilità durante la guerra di Troia da risultare il più simile al defunto Achille.
Il dramma sofocleo inizia con il gesto rabbioso di Aiace il quale si è visto soffiare le armi di Achille a cui pensava di avere diritto. Agamennone e Menelao le hanno infatti assegnate ad Odisseo attraverso un gioco politico di accordi e votazioni a maggioranza che tanto ricorda gli aspetti moralmente meno lodevoli delle democrazie contemporanee.
Accecato dall’ira suscitatagli dalla dea Athena che anche in questo caso non manca di favorire il suo pupillo Odisseo, Aiace cade vittima di un raptus di follia durante il quale massacra tori, montoni e altri armenti degli Achei (nella convinzione, in verità, di sterminare questi ultimi).
Una volta recuperata la ragione, Aiace si vergogna per il gesto inconsulto e decide di suicidarsi gettandosi sulla spada che gli era stata donata da Ettore.
Il dramma prosegue con la disputa fra Teucro, Menelao e Agamennone: il fratello di Aiace pretende di dargli la giusta sepoltura, mentre i re di Sparta e di Micene non ne vogliono sapere. Piomba allora sulla scena l’odiato rivale di Aiace, Odisseo, il quale assume un atteggiamento inaspettatamente magnanimo convincendo Agamennone a cedere e quindi a permettere a Teucro di rendere l’ultimo omaggio al defunto.
Ritroviamo in quest’opera un tema edipico: la volontà degli dèi e quindi il fato sovrastano sempre e comunque il destino dell’uomo e ciononostante questi deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni – come se fosse stato assolutamente libero di compierle – e andare incontro alla morte per riscattarsi. È l’eterno conflitto fra Necessità e Libero Arbitrio, fra condizioni imposte dal capriccioso volere divino e quello scampolo di autonomia decisionale che sembra appartenere all’Uomo solo a tratti.
Certamente Aiace è più colpevole di Edipo sia perché crede di sterminare gli Achei, sia perché era stato arrogante nei confronti di Athena quando aveva dichiarato di non aver bisogno di alcun aiuto. Ma il tema del rapporto fra Necessità (ananke) e Responsabilità umana resta presente con tutta la sua forza anche filosofica. E ancora una volta è il gesto tragico la sola via di salvezza del protagonista sventurato, un gesto che è fatto di accettazione della malasorte, di coraggio e di determinazione a tornare padrone del proprio destino.
Da rilevare la frequente presenza di un bivio decisionale di fronte al quale è indispensabile scegliere: come succede in Antigone, così in Aiace troviamo la possibilità di scelta offerta all’eroe/eroina: o la morte con il suo riscatto, o la vita con il suo peso. Ques’ultima scelta è spesso suggerita da un altro personaggio, ma non accettata dal protagonista. Aiace rappresenta comunque l’eroe omerico che onora le leggi arcaiche e non scende mai a compromessi. È sanguigno e commette errori, ma non cade mai nell’immoralità e soprattutto nella meschinità o nella viltà. La sua coerente inflessibilità non può che condurlo al suicidio e, di conseguenza, alla riabilitazione.
Odisseo è un eroe certamente più moderno, versatile, coraggioso sì, ma anche astuto, razionale, calcolatore. La sua intelligenza superiore lo fa primeggiare e gli permette di confutare e contrastare le opinioni e le volontà di Agamennone, di Menelao e addirittura degli dèi. E in questa tragedia si erge ad esempio di magnanimità.
Aspetto interessante e curioso: il nome. In quel nome c’è tutto il suo destino. Come dice egli stesso nel Primo Atto: “Ahia, Ahia, Aiace…”
Ma attenzione all’opinione di Menelao! Per il re di Sparta, non si può dar spazio ad anarchia e libertà: sarebbero “il baratro della civiltà”. Tutto si deve fondare sul timore, l’obbedienza e la sottomissione. La gerarchia è necessaria. Lo stesso Agamennone sostiene che il potere “non conosce pietà”, ma per Odisseo il potere deve seguire “i consigli degli amici” e il governante è veramente superiore solo quando è magnanimo. (Daniele Bondi)