Posò il libro sul comodino, spense la luce e cominciò a immaginare come sarebbe cambiata la sua vita se l’indomani si fosse svegliato nel corpo di uno scorpione. Tutto sarebbe cambiato: li avrebbe infilzati col suo aculeo velenoso, ridendo loro in faccia nel momento dell’esalazione dell’ultimo respiro. Si sarebbe fatto giustizia da sé e nessuno lo avrebbe più infastidito. L’intero corso della sua esistenza sarebbe cambiato per il meglio.

Ma una tale metamorfosi era decisamente improbabile. Poteva rileggersi la storia di Gregor Samsa un milione di volte e ideare la più crudele delle vendette, ma quel sogno, ne era ben certo, non sarebbe mai divenuto realtà.

D’altra parte era stato lui a commettere quel dannato sbaglio, cinque anni prima, e ora ne stava ancora pagando il prezzo. Se non avesse accettato l’incarico all’Ente, ora non si sarebbe sentito come una mosca nella tela del ragno. E pensare che per qualche istante aveva pensato di rifiutare…

Lo avevano assunto all’Ente, con il compito di redigerne il periodico, strappandolo a una rivista di cui era caporedattore. All’inizio era intenzionato a declinare l’offerta perché, da un lato, temeva che l’Ente fosse infestato da zanzare, scarafaggi e camaleonti della peggior specie; dall’altro, lo addolorava lasciare il posto dove scriveva delle sue amate piante e nessuno gli ronzava intorno con minacce o blandizie di alcun tipo.

Sfortuna volle che, a quel tempo, il presidente dell’Ente lo volesse a tutti i costi, forse perché i loro padri avevano lavorato insieme nel medesimo istituto – peraltro svolgendo le stesse, rispettive, funzioni. Così, anche se le viscere gli dicevano di non abbandonare la rivista, K. era caduto nella trappola delle lusinghe di quell’astuto serpente e aveva accettato la sua proposta.

Già nel suo primo giorno di lavoro all’Ente, K. fu subito attorniato da un nugolo di zanzare. Era evidente che quelle schifose avrebbero fatto di tutto per intralciare il suo lavoro, forse perché pensavano che egli fosse una sorta di raccomandato. Pur facendo di tutto per convincerle che quella ipotesi non stava né in cielo né in terra, i suoi tentativi non sortirono effetto alcuno: ogni sera se ne tornava a casa con il collo, le caviglie e i polsi ricoperti di punture e un prurito tale da soffrire le pene dell’inferno.

Un amico, che la sapeva lunga in fatto di zanzare in quanto aveva lavorato nell’Ente di un’altra città, gli suggerì di cospargersi il corpo di una certa pomata prima di entrare in ufficio, ma le maledette riuscivano sempre a trovare un punto della sua pelle scoperto e a succhiargli il sangue da lì. Quando poi cominciò a intervistarle per redigere gli articoli, esse si rifiutarono di collaborare.

Ma era un loro dovere istituzionale dargli le notizie di cui abbisognava! Lo aveva dichiarato il presidente nella riunione in cui K. era stato presentato a tutte loro e lo aveva ribadito più volte anche la sua eclettica segretaria, MLA. Ma K. non poteva appellarsi a quell’incontro, altrimenti sarebbe andato incontro a chissà quali ritorsioni.

Decise allora di scrivere gli articoli e di impaginare il giornale senza l’aiuto di nessuna di loro. Neppure questa scelta si rivelò azzeccata: anzi, a questa sua dimostrazione di autonomia, le zanzare reagirono punzecchiandolo ogni giorno di più, pur non avendo ancora sviluppato l’idea criminale di attaccarlo contemporaneamente e concentrandosi sullo stesso punto, evento che avrebbe potuto procurargli uno shock anafilattico.

Quando il primo numero del periodico fu stampato, MLA raccolse i commenti del presidente e dei lettori. Poi, cambiando colore e struttura della pelle sino ad assomigliare perfettamente a K., andò a congratularsi nel suo ufficio.

«Un lavoro davvero eccellente» sentenziò la segretaria, lanciando la sua lingua fino al vetro per accalappiare una zanzara e divorarsela in un secondo. Aggiunse addirittura che il presidente aveva visto giusto decidendo di assumerlo. K. rimase indifferente a quelle lodi, forse perché era impressionato, anzi ipnotizzato, dai suoi occhi: indipendenti l’uno dall’altro, ruotavano in direzioni sempre diverse e davano l’impressione di poter tenere sotto controllo l’ambiente circostante a trecentosessanta gradi. Del tutto priva di orecchie, MLA era sorda.

Con le lenzuola fin sopra la gobba del naso, K. soppesò il fatto che era passato un intero lustro dal giorno del suo ingresso nell’Ente. Cinque anni di punture, di inutile pomata, di interviste fasulle alle zanzare. Per non parlare degli stucchevoli salamelecchi e delle stupefacenti modificazioni cutanee di MLA, nonché degli articoli che lui aveva dovuto scrivere per decantare l’attività del presidente.

A occhi chiusi ma ancora ben sveglio, K. coltivava nel suo letto il desiderio della metamorfosi che sperava di concretizzare il mattino seguente. Dopo aver rivisto in sequenza il peccato originale che aveva commesso e tutto ciò che ne era derivato, ripensò gli accadimenti del pomeriggio, quando aveva cominciato a fantasticare, e poi a scrivere, sulla bizzarra similitudine che, a suo giudizio, accomunava le zanzare all’edera.

Non l’avesse mai fatto! Terminato l’insolito raffronto, udì un improvviso ronzio e d’acchito gli sovvenne che in quella giornata non si era ancora protetto. Corse in bagno per cospargersi di crema repellente. Ma, di ritorno, ecco l’amara sorpresa: uno scarafaggio del primo piano si era piazzato innanzi al suo monitor e stava leggendo le sue innocenti metafore.

Vedendolo arrivare, lo schifoso era zampettato via a gran velocità per andare a fare la spia alle zanzare del terzo piano le quali, offese dall’ignobile paragone, erano poi piombate tutte insieme nel suo ufficio per pungerlo contemporaneamente in pieno petto: ciò che più aveva temuto in quei cinque lunghi anni, si era verificato!

E proprio nel momento in cui cercava di disinfettarsi, MLA si era intrufolata nel suo ufficio per comunicargli gli ordini del presidente circa il nuovo numero del periodico. La ruffiana aveva però assunto un colorito molto diverso dal solito e questo cambiamento era stato registrato da K. con un brivido di terrore. Con la sua lingua rapida, salata e rugosa, MLA aveva preso a raschiargli la mega- puntura del petto, facendogli patire un dolore insopportabile. Tuttavia, fu proprio grazie all’intensità di quel bruciore se riuscì a divincolarsi dalla sua lingua appiccicosa e a fuggire dall’Ente.

Correva all’impazzata col petto dolorante quando, per qualche istante, gli sembrò possibile compiere il miracolo di rimettere indietro le lancette del tempo e sfuggire a quella infernale condanna. Giunto alla sede della sua amata, nonché ex, rivista, scoprì tuttavia che anchessa era stata invasa da zanzare e scarafaggi, che il direttore era stato vittima del morso letale di una vipera e il sostituto, un altro astuto camaleonte, era l’amante segreto di MLA.

A quel punto, K. corse a casa e passò la serata a medicarsi.

Quando entrò in camera, lo vide. Era là, sul comodino, ad attenderlo. Accese l’abat-jour, entrò nel letto rizzandosi contro la spalliera, lo guardò titubante per qualche istante, quindi lo riprese in mano. Un libretto leggero e ruvido che conteneva la storia di quel tal Samsa che era riuscito, beato lui, a svegliarsi una mattina da sogni inquieti, trovandosi trasformato nel suo letto in un immenso insetto. Da questa lettura gli era venuta l’idea, anzi, il desiderio, di mutarsi in scorpione. Un desiderio che visualizzò, ora volontariamente ora fra le braccia di Morfeo, per tutta la notte.

Si svegliò ripetutamente. Cambiò spesso posizione, come in preda a qualche raptus incontrollabile. A un certo punto della notte, anche per capire se fosse sveglio o stesse ancora sognando, riaccese la luce, prese in mano il libro e rilesse qualche pagina. Quindi tornò a coricarsi, ma stavolta tenendo il libro sotto il cuscino, come se quel contatto mediato potesse aiutarlo nell’impresa dell’agognata mutazione genetica.

Finalmente si addormentò come un sasso, anzi, come un bambino. Mentre fuori albeggiava e le immagini che vedeva si andavano colorando, la fastidiosa sensazione di essere intrappolato in quel maledetto Ente era ancora presente nel suo animo, ma andava via via affievolendosi.

A un tratto, qualcosa si mosse nel suo corpo.
Il libro, che ora si trovava appoggiato sul suo ventre, gli cadde a terra.
Il tonfo non lo ridestò del tutto, ma lo condusse verso una lunga e confusa fase di dormiveglia in

cui non riuscì a capire quanto fosse reale la coda segmentata e dotata di aculeo che gli stava crescendo sotto l’addome.