Delitto e Castigo

“Delitto e Castigo” è uno dei tanti capolavori di Fëdor Dostoevskij. Il protagonista è Raskòl’nikov, un ex studente ventitreenne che coltiva idee da “Superuomo” fino al punto da sentirsi capace e in pieno diritto (in virtù di scopi grandiosi non ben definiti) di sfidare la legge, la sorte, la religione, la morale e la propria coscienza. Anche se ha dovuto lasciare gli studi per ragioni economiche e vive in condizioni di indigenza, crede di essere una sorta di Napoleone (nominato più volte e non a caso nel testo) e come tale di avere il diritto di compiere persino i misfatti più tremendi per raggiungere i propri grandiosi traguardi. E così decide di uccidere una vecchia usuraia e anche la più mite sorella apparentemente per derubare la prima, ma in verità solo ed esclusivamente per dimostrare a se stesso la veridicità delle proprie, folli, convinzioni.

Un vero e proprio delirio di onnipotenza si impossessa della mente del giovane: quando un individuo ha davanti a sé un destino grandioso può tutto perché è un semidio e, come tale, ha persino il diritto di porre fine alla vita altrui.

Ma poi ecco apparire Kant. E qualcuno dirà: che c’entra qui il filosofo di Konigsberg? In effetti non ho mai trovato in alcuna analisi del testo un riferimento di questo tipo. Io invece vi ricorro perché sono da sempre un fan di Immanuel Kant. Nella Critica della Ragion Pratica, l’ideatore del criticismo sostiene che dentro ogni essere umano alberga una “legge morale”. Ebbene, cosa succede?

Raskòl’nikov comincia a fare i conti con il timore di essere scoperto e, soprattutto, con la propria coscienza. La sua mente viene sopraffatta da una tempesta di pensieri ed emozioni autodistruttive, da tormenti, angosce e dolori che non gli lasciano un attimo di tregua. Il delitto era stato compiuto e ora ne cominciava a pagare il prezzo con un castigo fatto di drammi interiori estremamente logoranti.

Il tormento raggiunge un livello tale che il protagonista non può più nascondere il proprio segreto. Per cercare di liberarsi di un peso divenuto insopportabile, non gli resta che confessare il delitto a Sonja. Questa ragazza, conosciuta all’inizio del romanzo, è costretta a prostituirsi per le condizioni di estrema indigenza della famiglia, ma è persona dal cuore puro e dotata di un fede incrollabile. Raccolta la confessione, cerca di convertirlo e di indurlo a costituirsi presso le autorità.

Ecco allora la via d’uscita, la speranza di salvezza che il grande scrittore non manca mai di donare ai suoi personaggi: Raskòl’nikov confessa, viene condannato ai lavori forzati in Siberia dove verrà seguito dalla sua innamorata.

Ritorniamo per un attimo al riferimento che fa il protagonista a Napoleone come un esempio a cui tutto è concesso per via della sua grandezza. Pensiamoci bene: Napoleone incontra il proprio tremendo declino quando decide di attuare la famosa “Campagna di Russia” ove perde 600.000 uomini, oltre alla propria faccia. Napoleone viene sconfitto da un generale russo, Kutuzov, che sottovaluta perché “vecchio e ubriacone”. Nel suo delirio, Raskòl’nikov sembra dimenticare l’orribile fine di Napoleone. Fine che prende il via proprio lì dove lui vive, in Russia! Ma si tratta di uno stratagemma dello scrittore per sottolineare che chi soffre di queste paranoie non riesce assolutamente a vedere le conseguenze delle proprie azioni e prendere in considerazione tutti gli aspetti (razionali) di una vicenda, una situazione, una biografia.

Insomma, in questo capolavoro senza tempo, Dostoevskij pare avvisare l’intera umanità: attenzione, perché non c’è delitto senza castigo. Non importa quanto potente tu ti senta e quali scopi grandiosi tu ti ponga: se per raggiungerli calpesti la vita degli altri, presto o tardi, in un modo o nell’altro, sarai castigato.

Anche oggigiorno assistiamo a fenomeni di questo tipo: alcuni individui hanno accumulato ricchezze talmente spropositate (che, come insegna Gandhi, comportano sempre lo sfruttamento di migliaia, milioni se non addirittura miliardi di esseri umani) da sentirsi dei semidei e di conseguenza moralmente in diritto di calpestare chiunque e di decidere le sorti dell’intera umanità. Questi delirii di onnipotenza del XXI Secolo che hanno comportato il danno, la malattia e la morte di altri esseri umani non mancheranno di trovare il loro giusto riscontro, perché non è possibile che Dostoevskij e tutte le religioni del mondo (si pensi soltanto al concetto di Karma del Buddhismo) abbiano preso un abbaglio.

In questo romanzo troviamo ovviamente tanti agganci interessanti ad altri autori di altissimo profilo. Come non intravedere i prodromi del concetto (anche se per certi versi rovesciato) di Superuomo di Nietzsche? Teniamo presente che per il filosofo lo scrittore russo era l’unico “psicologo” da cui aveva appreso qualcosa. E come non constatare il legame profondo con l’ormai prossimo avvento della psicoanalisi freudiana? Non a caso Pier Paolo Pasolini vede nel protagonista un risvolto edipico nonché una passione di tipo sadico. Lo stesso Franz Kafka non potrebbe aver scritto i suoi capolavori (pensiamo a “Il Processo” per non parlare de “La Metamorfosi”) senza questo illustre predecessore.

Da quanto detto emerge anche in quest’opera il senso di quella frase – “La Bellezza salverà il mondo” –che troviamo nell’altro romanzo di questo autore, ovvero “L’idiota”. Frase che analizzeremo meglio in un prossimo articolo. (Daniele Bondi)