
L’Antigone di Sofocle è un Capolavoro sempiterno che non mancherà mai di far riflettere l’Uomo di qualsiasi epoca.
La trama è ben nota e, se non lo fosse, basta poco per trovarne traccia in rete.
Vorrei infatti incentrare la riflessione sul gesto coraggioso della protagonista la quale, come si sa, contravviene alla legge del Re Creonte per dare sepoltura al fratello Polinice.
La domanda che pone questa tragedia è dunque la seguente: fino a che punto è giusto e doveroso contravvenire alla legge ingiusta del sovrano anche a costo della propria vita?
Anche se bisogna ammettere che il concetto di “giustizia” sia qualcosa di estremamente sfuggevole e anche relativo, tutto sommato credo si possa affermare che i governanti abbiano sempre promulgato leggi ingiuste e sempre lo faranno. Se non fosse così, non si registrerebbero sommosse, rivoluzioni, rivolte e clamorosi dietro-front. Se non fosse così, la carta dei Diritti Inalienabili e Universali dell’Uomo non sarebbe mai stata scritta.

Ora, ammesso (e a livello teorico non del tutto concesso) che esistano leggi palesemente ingiuste, di fronte ad esse i sudditi o cittadini che dir si voglia hanno due possibilità: o chinare la testa e tenere quindi un atteggiamento codardo, oppure contravvenirle mostrandosi coraggiosi e coerenti col proprio sentire. Antigone, figlia del disgraziato Edipo e nipote del Re Creonte, sente nel profondo del proprio animo che non può accettare che il corpo di Polinice venga lasciato sulla terra alla mercé di corvi e cani, mentre all’altro fratello, Eteocle, sia data la giusta e degna sepoltura. A lei non importa nulla del fatto che Polinice abbia combattuto contro la sua città di nascita, Tebe, mentre Eteocle in sua difesa. Il fatto è che i due si sono uccisi l’un l’altro nello stesso istante ed essendo entrambisuoi fratelli e soldati sventurati, per Antigone meritano entrambi una dignitosa tumulazione. Il Re, venuto a sapere che la nipote ha coperto di terra il corpo esangue di Polinice la condanna a morte e lei accetta il suo destino con una fierezza che commuove lo spettatore. Questi non può che stare dalla sua parte e comprendere così che la giustizia, tutto sommato, esiste ed è praticabile quanto meno nel caso in questione.
Nella parte finale, l’indovino Tiresia riesce a far riflettere Creonte fino a fargli cambiare idea prospettandogli una sequela senza fine di disgrazie per effetto della sua gravissima sentenza. Il Re corre sul luogo della condanna ma vi giunge troppo tardi: Antigone si è impiccata per non morire soffocata nell’anfratto in cui era stata rinchiusa. Creonte torna a casa e scopre che anche la moglie, Euridice, si è uccisa e allora invoca egli stesso gli dèi affinché gli tolgano la vita.
Le grandi tragedie scritte da questi Autori con la A maiuscola hanno sempre molto da insegnarci. L’Antigone di Sofocle ci fa riflettere sul concetto di giustizia e sul comportamento da tenere di fronte alle leggi che avvertiamo come profondamente ingiuste. Ma ci mostra sapientemente anche gli effetti nefasti che ricadono sui sovrani spietati. Se dunque questa grande Opera venisse letta, studiata e ammirata a teatro da ogni governante PRIMA di progettare, scrivere e promulgare leggi, ecco che forse eviterebbero di fare la triste fine di Creonte. Una fine inevitabile perché se anche scampasse alla rovina materiale, non potrà non trovarsi un giorno – quando sarà ahilui troppo tardi – a fare i conti con la propria coscienza e avvertire il peso insopportabile delle proprie scelte oramai inscritte sui libri di storia e pertanto incancellabili.