Quando entrai nel monastero non immaginavo ciò che mi attendeva.
Speravo, certo, di aver trovato la Via e di poter così iniziare l’aureo percorso verso l’Illuminazione, ma non avevo alcuna idea della mèta da raggiungere.
Avevo letto centinaia di libri e mi ero esercitato nella meditazione per più di dieci anni, quindi non mi ritenevo un neòfita.
Ero convinto che lungo l’aureo percorso avrei appreso nuove e sofisticate tecniche di meditazione per il dominio di me stesso, della mia mente e per l’estirpazione di ogni desiderio dalla mia vita. Il Nirvana era là ad attendermi: bastava solo seguire le istruzioni del Lama.
Ma, con mia grande sorpresa, nulla di tutto questo avvenne.
Appena entrato nel monastero mi venne incontro Dharma, il Maestro di cui tanto avevo sentito parlare.
Mi aspettavo che fosse anziano, con gli occhi profondi e che, sorridendo amabilmente, mi avrebbe dato il benvenuto.
Invece era piuttosto giovane e tanto serio da sembrare accigliato.
“Togliti le scarpe e corri verso Ovest!” – furono le sue prime, quasi crude parole.
Per un lungo attimo rimasi immobile e impacciato. Il sangue mi si era raggelato nelle vene e mi parve impossibile muovere anche un solo dito.
Quando guardai coraggiosamente nei suoi occhi vidi che non avevo altra scelta: dovevo obbedire!
Mentre mi slacciavo le scarpe, mi sentii più leggero.
“Come ti senti?” – mi chiese il Lama Dharma accennando un vago sorriso.
“Più leggero!” – risposi immediatamente. “Voglio dire…, più leggero dentro!”
“D’ora in poi non indossare mai più quelle scarpe, né quella stupida arroganza colma di pregiudizi!”
“D’accordo!” – in quel momento ebbi una chiara, improvvisa percezione del motivo per il quale mi sentivo così leggero: il Maestro mi aveva spogliato in un solo istante di tutte le incrostazioni individualistiche, in parte ereditate dalla mia cultura, in parte frutto della mia incapacità di dirigere la mia energia, che ancora impedivano al mio animo di progredire sulla via della Legge. La mia limitata visione della Vita Universale aveva avuto l’infausto effetto di corrodere l’organo del mio sviluppo spirituale e questa inarrestabile corrosione si era diffusa a macchia d’olio nel mio essere, condannandolo al doloroso ciclo delle rinascite.
Non solo le fondamenta del mio tempio spirituale, ma persino quelle del mio tempo spirituale risultavano compromesse: l’effetto corrosivo aveva progressivamente eroso sia il mio senso di appartenenza alla comunità umana, sia il meccanismo ritmico che innesca la ruota del progresso interiore.
“Ora comincia a correre verso Ovest!” – mi ordinò il Lama.
“Per quanto tempo? E…, fino a dove? Io non conosco questo altopiano…”
“Fino all’alba!”
“Ma morirò prima del tramonto!”
“Non ti preoccupare per la tua morte. Corri oltre il tramonto, fino all’alba!”
Sconcertato per l’inaspettata richiesta del Lama, cominciai a correre verso Ovest.
Non passò più di un quarto d’ora.
Mentre il fiato si faceva grosso e la mia mente cadeva vittima dell’effetto corrosivo del rimpianto, mi resi conto che il sole stava calando molto più rapidamente del solito: ero in grado di vedere il suo progressivo avvicinarsi alle cime nevose dell’Himalaya!
Non ricordo cosa avvenne nel frattempo, so solo che nel fotogramma successivo mi trovai sulla riva di un grande lago.
La sfera che avevo tanto a lungo rincorso mostrò per un breve istante contorni sfumati e riflessi violacei per poi sparire dietro le montagne.
Fu lì che provai paura. Paura del buio. Paura di inciampare. Paura di tagliarmi i piedi. Paura di cadere. Paura di morire.
Ma le parole del Lama riecheggiarono dentro di me: “Non ti preoccupare per la tua morte. Corri oltre il tramonto, fino all’alba!”
Così continuai a correre.
Corsi lungo il tempo dell’ignoto e nello spazio della notte.
Nel momento stesso in cui mi ritrovai avvolto nel suo nero mantello, iniziai ad avvertire una forte pressione alla testa. Indi mi sentii trasportato verso un cunicolo stretto e oscuro, le cui pareti erano viscide, forse per agevolare il mio passaggio ed alleviare il dolore alla testa.
Qualche istante dopo mi resi conto che non c’era nulla da fare: neanche volendo avrei potuto tornare indietro. Una forza misteriosa mi risucchiava all’esterno del cunicolo e la sofferenza che dovetti sopportare non può essere raccontata.
Ma non era una sofferenza soltanto mia: ebbi infatti la bizzarra impressione che qualcun altro stava subendo un travaglio ben più arduo e con un atteggiamento ben più eroico.
Una fioca luce fece la sua apparizione, ma durò un solo istante.
La ricordo appena, forse grazie alla sensazione di sollievo che mi regalò. Ma nel momento successivo i miei occhi furono abbacinati da una quantità di luce inimmaginabilmente accecante.
Uscii dalla pareti viscide e, anche se abbagliato dalla luce, compresi che qualcuno stava sorridendo. Rendendomi conto che dovevo ricominciare daccapo l’intero percorso, emisi un lungo, interminabile vagìto.
Era l’alba. L’alba di un nuovo giorno. L’alba di un nuovo uomo. L’alba di una nuova vita. Forse dell’ultima vita.
Della vita spesa a correre verso le altre vite, spogliato di qualsivoglia incrostazione e pregiudizio, nell’unica direzione che conduce al tempio della Verità. Nell’infinito tempo della Verità.
Ho corso a piedi scalzi verso Ovest e, se dovessi esservi costretto, lo rifarei infinite volte. Senza mai cessare di anelare al Nirvana, all’Illuminazione, a una sorta di riposo eterno. Ma questa volta consapevole che il mio spirito può evolversi in un solo atto: quello di correre, a piedi scalzi, verso Ovest.
Speravo, certo, di aver trovato la Via e di poter così iniziare l’aureo percorso verso l’Illuminazione, ma non avevo alcuna idea della mèta da raggiungere.
Avevo letto centinaia di libri e mi ero esercitato nella meditazione per più di dieci anni, quindi non mi ritenevo un neòfita.
Ero convinto che lungo l’aureo percorso avrei appreso nuove e sofisticate tecniche di meditazione per il dominio di me stesso, della mia mente e per l’estirpazione di ogni desiderio dalla mia vita. Il Nirvana era là ad attendermi: bastava solo seguire le istruzioni del Lama.
Ma, con mia grande sorpresa, nulla di tutto questo avvenne.
Appena entrato nel monastero mi venne incontro Dharma, il Maestro di cui tanto avevo sentito parlare.
Mi aspettavo che fosse anziano, con gli occhi profondi e che, sorridendo amabilmente, mi avrebbe dato il benvenuto.
Invece era piuttosto giovane e tanto serio da sembrare accigliato.
“Togliti le scarpe e corri verso Ovest!” – furono le sue prime, quasi crude parole.
Per un lungo attimo rimasi immobile e impacciato. Il sangue mi si era raggelato nelle vene e mi parve impossibile muovere anche un solo dito.
Quando guardai coraggiosamente nei suoi occhi vidi che non avevo altra scelta: dovevo obbedire!
Mentre mi slacciavo le scarpe, mi sentii più leggero.
“Come ti senti?” – mi chiese il Lama Dharma accennando un vago sorriso.
“Più leggero!” – risposi immediatamente. “Voglio dire…, più leggero dentro!”
“D’ora in poi non indossare mai più quelle scarpe, né quella stupida arroganza colma di pregiudizi!”
“D’accordo!” – in quel momento ebbi una chiara, improvvisa percezione del motivo per il quale mi sentivo così leggero: il Maestro mi aveva spogliato in un solo istante di tutte le incrostazioni individualistiche, in parte ereditate dalla mia cultura, in parte frutto della mia incapacità di dirigere la mia energia, che ancora impedivano al mio animo di progredire sulla via della Legge. La mia limitata visione della Vita Universale aveva avuto l’infausto effetto di corrodere l’organo del mio sviluppo spirituale e questa inarrestabile corrosione si era diffusa a macchia d’olio nel mio essere, condannandolo al doloroso ciclo delle rinascite.
Non solo le fondamenta del mio tempio spirituale, ma persino quelle del mio tempo spirituale risultavano compromesse: l’effetto corrosivo aveva progressivamente eroso sia il mio senso di appartenenza alla comunità umana, sia il meccanismo ritmico che innesca la ruota del progresso interiore.
“Ora comincia a correre verso Ovest!” – mi ordinò il Lama.
“Per quanto tempo? E…, fino a dove? Io non conosco questo altopiano…”
“Fino all’alba!”
“Ma morirò prima del tramonto!”
“Non ti preoccupare per la tua morte. Corri oltre il tramonto, fino all’alba!”
Sconcertato per l’inaspettata richiesta del Lama, cominciai a correre verso Ovest.
Non passò più di un quarto d’ora.
Mentre il fiato si faceva grosso e la mia mente cadeva vittima dell’effetto corrosivo del rimpianto, mi resi conto che il sole stava calando molto più rapidamente del solito: ero in grado di vedere il suo progressivo avvicinarsi alle cime nevose dell’Himalaya!
Non ricordo cosa avvenne nel frattempo, so solo che nel fotogramma successivo mi trovai sulla riva di un grande lago.
La sfera che avevo tanto a lungo rincorso mostrò per un breve istante contorni sfumati e riflessi violacei per poi sparire dietro le montagne.
Fu lì che provai paura. Paura del buio. Paura di inciampare. Paura di tagliarmi i piedi. Paura di cadere. Paura di morire.
Ma le parole del Lama riecheggiarono dentro di me: “Non ti preoccupare per la tua morte. Corri oltre il tramonto, fino all’alba!”
Così continuai a correre.
Corsi lungo il tempo dell’ignoto e nello spazio della notte.
Nel momento stesso in cui mi ritrovai avvolto nel suo nero mantello, iniziai ad avvertire una forte pressione alla testa. Indi mi sentii trasportato verso un cunicolo stretto e oscuro, le cui pareti erano viscide, forse per agevolare il mio passaggio ed alleviare il dolore alla testa.
Qualche istante dopo mi resi conto che non c’era nulla da fare: neanche volendo avrei potuto tornare indietro. Una forza misteriosa mi risucchiava all’esterno del cunicolo e la sofferenza che dovetti sopportare non può essere raccontata.
Ma non era una sofferenza soltanto mia: ebbi infatti la bizzarra impressione che qualcun altro stava subendo un travaglio ben più arduo e con un atteggiamento ben più eroico.
Una fioca luce fece la sua apparizione, ma durò un solo istante.
La ricordo appena, forse grazie alla sensazione di sollievo che mi regalò. Ma nel momento successivo i miei occhi furono abbacinati da una quantità di luce inimmaginabilmente accecante.
Uscii dalla pareti viscide e, anche se abbagliato dalla luce, compresi che qualcuno stava sorridendo. Rendendomi conto che dovevo ricominciare daccapo l’intero percorso, emisi un lungo, interminabile vagìto.
Era l’alba. L’alba di un nuovo giorno. L’alba di un nuovo uomo. L’alba di una nuova vita. Forse dell’ultima vita.
Della vita spesa a correre verso le altre vite, spogliato di qualsivoglia incrostazione e pregiudizio, nell’unica direzione che conduce al tempio della Verità. Nell’infinito tempo della Verità.
Ho corso a piedi scalzi verso Ovest e, se dovessi esservi costretto, lo rifarei infinite volte. Senza mai cessare di anelare al Nirvana, all’Illuminazione, a una sorta di riposo eterno. Ma questa volta consapevole che il mio spirito può evolversi in un solo atto: quello di correre, a piedi scalzi, verso Ovest.