New York City – Ground Zero, 11 Marzo 2002, ore 10,00.

Nello sguardo di Brian, quella mattina di preghiera collettiva, mi parve di ravvisare qualche elemento di novità. Mi avvicinai a lui, gli posi un braccio sulla spalla e gli chiesi come stava.

“Un po’ meglio di sei mesi fa, caro Bill, ma solo perché il tempo inghiotte tutto…” “Sei riuscito ad accettare la perdita di Sharon?”
“No, e non credo ne sarò mai in grado. Avrei accettato la sua morte in qualsiasi altra

circostanza, ma non in questa… Quei maledetti assassini: non immagini quante volte ho pensato di…”

“Ne abbiamo già discusso: sai bene che nessuna vendetta potrebbe restituirti Sharon.”

“Lo so, lo so, ma spero ugualmente che il Presidente decida di radere al suolo tutti i Paesi arabi e che la religione islamica sparisca dalla faccia della Terra… Solo allora potremo vivere in pace e sicurezza…”

“Mi pare che tornare a ground zero non sia stata una buona idea… Ehi dove vai?” “Lo sai che non ne hanno mai trovato il corpo?”
“No, non ne avevo idea… Mi dispiace, ma non credo lo potrai trovare ora.”
“Vorrei almeno trovare un suo orecchino, o la sua collana di perle, o la sua

borsetta…”
“Dai, Brian, vieni qui, là sotto non c’è più nulla…”
“Può darsi, può darsi…”
“Credi davvero che dopo sei mesi si possa ancora trovare qualcosa?”
“Perché no? Mi basterebbe un lembo della sua gonna, o una sua scarpa,…”
“No, Brian, no: la tua vita deve andare avanti… Così facendo ti ancori ad un passato

che non potrai più avere…”
Ma fu del tutto inutile: mentre migliaia di newyorkesi stavano pregando per le

vittime degli attacchi terroristici dell’undici settembre in attesa del discorso di Rudolph Giuliani e di quello del Presidente Bush, Brian si era insinuato fra i resti delle Torri Gemelle ora sbirciando sotto una montagna di lamiere, ora sollevando calcinacci, ora imprecando contro Allah. A un certo punto, essendomi voltato perché attratto dal fragoroso applauso che accoglieva il nostro ex-sindaco, lo persi di vista. Decisi allora di seguire la cerimonia di commemorazione e di attendere Brian nel punto in cui l’avevo perso.

Dovettero passare quasi due ore prima che potessi rivederlo. “Che ne dici di questo?”
“Ehi, Brian, si può sapere dove ti eri cacciato?”
“Guarda un po’ qua…”

“Sembra un walkman… Apparteneva a Sharon?”
“No, ma guarda cosa c’è dentro…”
“Perbacco, una cassetta intatta. Dobbiamo consegnarla alla Polizia.”

“Stai scherzando? Prima voglio ascoltarla…”
“Brian, potrebbe contenere delle prove…”
“Mica la voglio distruggere: intendo solo ascoltarla
prima della Polizia. Sennò come

faccio a conoscerne il contenuto?”
“Beh, fino a prova contraria la loro riservatezza è d’obbligo…”
“Senti, Bill, se ti va di ascoltarla con me, vieni a casa mia… Altrimenti ci vediamo,

okay?”
“Vai…, ora?”

“Ovvio, intendo togliermi questa curiosità al più presto.”

New York City – 5th Avenue, 11 Marzo 2002, ore 13,00.

“Magari si tratta solo di musica.” – disse Brian sogguardando dubbioso la cassetta.

“Già, mi domando a chi appartenesse. Il walkman sembra di un modello piuttosto obsoleto. Però ha un piccolo microfono per registrare.”

Brian inserì la cassetta nel suo impianto hi-fi e schiacciò il play.

Per un po’ non si sentì assolutamente nulla, solo uno stridente fruscio. Poi, all’improvviso, ecco iniziare una vivace discussione in una lingua incomprensibile fra due, forse tre persone.

“E’ arabo, perdiana!” – dichiarò Brian con fare esultante.
“Allora dobbiamo andare immediatamente alla Polizia!”
“Piantala, Bill, con la tua Polizia. Ti ho detto che non consegnerò la cassetta

fintantoché non ne conoscerò il contenuto. Ora chiamo mia cugina Jodie, che conosce la lingua perché esporta in quei Paesi da vent’anni, e mi faccio tradurre il tutto. Solo a questo punto ti darò retta.”

“Okay, ma non vorrei che ci andassi di mezzo: magari ti accusano di sequestro di prove importanti…”

“Non succederà se tu non farai la spia…”

New York City – 5th Avenue, 11 Marzo 2002, ore 16,00

Jodie giunse non appena le fu possibile e si predispose con carta e penna alla scrivania su cui troneggiava l’impianto stereofonico di Brian; ascoltò l’intera cassetta limitandosi a riempire quattro pagine di appunti con sguardo costantemente accigliato e senza proferire parola. Il mio amico si sedette comodo sul canapè e attese in uno stato di calma assoluta, mentre la mia ansia cresceva di minuto in minuto.

Dopo una interminabile mezzora tanto durava quella incomprensibile conversazione – Jodie si rivolse a suo cugino:

“Sono loro…”
“Loro chi?”
– mi insinuai io inebetito.
“I terroristi, Bill, che domande fai? Ora, se puoi evitare di interloquire per qualche

attimo, vorrei sentire cosa cazzo si dicono quei figli di puttana.”

New York City – 5th Avenue, 11 Marzo 2002, ore 16,40

Jodie ci disse che la cassetta conteneva un’accesa discussione fra tre terroristi, uno dei quali, un certo Khaled – con ogni probabilità colui che stava registrando la conversazione – si mostrava chiaramente pentito della decisione presa in quanto non rispondente ai dettami del Profeta e sicuramente dannosa per l’immagine mondiale dell’Islam. Khaled dibatteva l’argomentazione con Mohammed, mentre Mustapha se ne stava più che altro ad ascoltare, intervenendo di tanto in tanto ma solo per dar ragione a Mohammed, che sembrava il capo del trio. Di tanto in tanto si percepivano le voci metalliche delle varie torri di controllo e dunque i tre dovevano trovarsi all’interno della cabina di pilotaggio.

Su richiesta di Brian, Jodie ci fece riascoltare il nastro offrendoci la traduzione simultanea di ogni battuta:

Khaled: “Ehi, Mohammed, devo dirti una cosa importante: ieri sera ho parlato con Omar di ciò che stiamo per fare, così, per chiedere un consiglio, e lui mi ha ricordato alcuni aspetti dimenticati del nostro credo.”

Mohammed: “Sai bene che i Sufi devi lasciarli stare… Quelli non capiscono nulla del mondo di oggi e ti confondono soltanto le idee.”

Khaled: “Nient’affatto, loro sono gli unici ad aver compreso a fondo il messaggio del Profeta. Per esempio, noi tutti parliamo di Jihad, ma nessuno di noi sa che il Profeta aveva parlato di due tipi di Jihad.”

Mohammed: “Due tipi di Jihad? Ma che dici?”

“Khaled: “Sì, la Jihad Maggiore (che è lo sforzo interiore di fronteggiare la nostra natura più bassa) e la Jihad Minore (che è invece lo sforzo rivolto all’esterno per fronteggiare l’ingiustizia sociale). E’ vero che la Jihad Minore oltre a contemplare l’apprendimento degli insegnamenti del Corano e il perseguimento di una cultura di pace parla anche di resistenza (armata e non) all’oppressione, ma è ancor più vero che il Profeta riteneva di gran lunga più importante la Jihad Maggiore. E lo sai perché? Per la semplice ragione che se non fosse stato giusto lui per primo, non avrebbe potuto pretendere e ottenere giustizia nel sociale.”

Mohammed: “Falso. Il cambiamento di tattica del Profeta tra La Mecca e Medina significa una sola cosa: lotta armata fino alla totale diffusione dell’Islam. Tutte le altre posizioni sono state inventate dai tuoi amici Sufi.”

Khaled: “No, Mohammed, no. Hanno ragione loro quando dicono che i due concetti di Jihad vanno considerati come un tutt’uno, perché presi singolarmente non significano niente e, anzi, danno luogo a interpretazioni errate del suo più vero intendimento. Jihad non è nient’altro che lo sforzo-missione da perseguire nel cammino indicato da Allah. Da questo punto di vista, è totalmente sbagliato e certamente anti-islamico mettersi a fare delle guerre. Di certo non possiamo usare il termine Jihad per sterminare popolazioni inermi. Quello che intendiamo fare oggi è il contrario di ciò che ha trasmesso il Profeta: lui ha insegnato che in nessuna circostanza si possono uccidere vecchi, donne e bambini. Come abbiamo potuto dimenticare che anche in guerra non si può sparare nel mucchio e comunque bisogna sempre salvare alberi e innocenti?”

Mohammed: “Ehi, Khaled, quello che dici è del tutto anacronistico. E comunque, anche se fosse vero, è troppo tardi per avere ripensamenti: fra meno di dieci minuti daremo la vita e saliremo in cielo immediatamente, al cospetto di Allah, come martiri dell’Islam. Se non ne sei più convinto, che razza di martire potrai essere? Guarda che Allah se ne rende conto se cerchi di fregarlo…”

Khaled: “Ma non vedete che siete voi a cercare di fregarlo? Abu Hurayrah riferisce che il Profeta disse: Il primo uomo (il cui caso) sarà deciso il Giorno del Giudizio sarà un uomo che morì come un martire. Sarà condotto davanti a tutti e Dio gli chiederà di rendere conto delle sue benedizioni e lui le racconterà. Dio poi gli chiederà: ‘E che cosa hai fatto per Me?’ E lui risponderà: ‘Ho lottato per Te finché non sono morto come un martire’. Dio dirà: ‘Hai detto una falsità. Hai lottato perché si potesse dire di te che sei un guerriero coraggioso. E così sei stato chiamato’. Il giudizio sarà volto contro di lui e lui sarà trascinato a faccia in giù all’Inferno…” Le intenzioni, caro Mohammed, sono l’aspetto più importante della nostra religione e da nessuna parte sta scritto che il suicidio va usato come strumento di guerra. Oh, Allah, che stupidi osservanti siamo diventati… Of, Profeta, perché hai permesso che l’ignoranza guidasse il cammino islamico nel momento in cui i tuoi fedeli si trovano innanzi a questo importante crocevia della storia?”

Mohammed: “Fesserie, nient’altro che fesserie…”

Khaled: “Fesserie? La più grande fesseria è volgersi a Dio non per questioni religiose e interiori, come dovremmo fare, ma per farne uno strumento atto a liberarci dall’umiliazione e tornare all’impero!”

Mustapha: “Mi spiace, Khaled, ma ha ragione Mohammed: sono solo fesserie. E se anche non lo fossero, che importa ormai?”

Khaled: “Come che importa? Mustapha, possiamo ancora cambiare rotta ed evitare di compiere una strage di innocenti. Ma lo capite che dopo un simile atto i musulmani saranno perseguitati in tutto il mondo e offriremo ad Israele l’alibi per massacrare i nostri fratelli palestinesi? Ma soprattutto, ve lo ripeto, tradiremmo il vero messaggio del Profeta e condurremmo l’Islam alla sconfitta definitiva… Avanti, Mustapha, vira, ti ho detto, vira, vira, viiiiiiira!”

“Dio mio che orrore…! Avanti, Brian, dammi quella cassetta come hai promesso…” “Un attimo, Bill, devo riflettere un istante…”
“Per riflettere non hai bisogno di quella prova: ti ho detto di consegnarmela. Ehi,

che fai? Noooo!” – gli gridai mentre distruggeva la cassetta saltandoci sopra a piè pari come un indemoniato.

“Quel colloquio” – mi rispose Brian con gli occhi ancora iniettati di rabbia – “resterà un segreto fra noi tre…”

“Si può sapere che ti ha preso?”

“Ora andate e lasciatemi solo. E non osate spifferare quanto avete udito: nella peggiore delle ipotesi verreste incriminati per sottrazione di prove riguardanti il terrorismo internazionale. Nella migliore, non sareste creduti: in fondo, quale americano potrebbe considerare realistica l’ipotesi dell’esistenza di una corrente islamica pacifista?”