Il poeta e romanziere indiano Rabindranath Tagore

Fu il primo scrittore orientale a vincere il Premio Nobel per la Letteratura, nel 1913. Poeta, educatore, filantropo, l’indiano Rabindranàth Tagore ebbe fin da giovane frequentissimi contatti con l’Europa: prima per studiarne e assimilarne le culture; poi, divenuto celebre, per tenervi conferenze e agevolare l’incontro, il dialogo e il reciproco fecondarsi tra Occidente (avamposto della modernità) e Oriente (baluardo del tradizionalismo). Tagore racchiude in sé e nella propria opera il contrasto e, nel contempo, le possibilità di sintesi positiva tra gli opposti e apparentemente inconciliabili versanti di quei mondi (che sono anche “modi” di guardare alle cose): da una parte il progresso, la ragione, la scienza, la tecnica, la produzione; dall’altra la conservazione, la fede, la spiritualità, il ritualismo, la stasi economica e sociale.

Collocato nel contesto storico e culturale di un paese colonizzato, Tagore percorre la via difficile di una rivendicazione dell’autonomia e libertà del suo popolo pur nel dialogo con la cultura dell’oppressore. Benché denunci con vigore gli errori della tecnocrazia, della violenza, della riduzione dell’umano alla sola dimensione economica che sono il portato del capitalismo occidentale, Tagore non si chiude in una condanna generale dell’occidente, ma indica la via di un percorso comune in nome dei valori umani. L’apertura transculturale è il contributo che l’India, per via della sua millenaria civiltà fatta di differenze e di mediazioni, può dare alla civiltà mondiale, insieme alla concezione di una soggettività che si apre ad una trascendenza che può essere intesa anche in senso non religioso. Questi due aspetti – apertura transculturale ed apertura transpersonale – sono in Tagore strettamente legati,

Tagore ha goduto per diversi anni di una fama notevole in occidente, apprezzato da grandi scrittori e poeti come Yeats, Gide e Pasternak, acclamato tanto negli Stati Uniti quanto nell’Italia fascista e in Unione Sovietica. Le cose cambiano però repentinamente: nel giro di pochi anni, l’occidente sembra perdere qualsiasi interesse per lo scrittore indiano, la sua opera e il suo pensiero. Il poeta-santo, suggestivo con la sua barba da vecchio saggio, diventa un personaggio scomodo quando comincia a dire cose sgradevoli. L’anno decisivo sembra essere il 1916, a soli tre anni dal Nobel. Quell’anno Tagore è costretto a lasciare in anticipo il Giappone, dove ha stigmatizzato il nazionalismo, e sempre per la sua critica del nazionalismo, esposte in una serie di conferenze che confluiranno poi nel volume Nationalism, subisce un attentato da parte di suoi connazionali negli Stati Uniti, mentre buona parte della stampa occidentale si schiera contro di lui.

Nel suo pensiero più maturo, Tagore sembra far proprio il paradigma della radice comune dell’uomo, anche se in una versione non esoterica. Cerca in tutte le religioni non Dio, ma l’Uomo, un uomo divinizzato in cui ripone tutte le sue speranze. Questa religione dell’Uomo appare appunto come una religione, ossia come un insieme di convinzioni tutt’altro che evidenti o dimostrabili razionalmente, e che richiedono un atto di fede. Ma in Tagore c’è anche l’idea secondo la quale oriente ed occidente possono, anzi devono giungere ad unità imparando l’uno dall’altro. L’occidente aiuterà l’oriente sul piano materiale, l’oriente aiuterà l’occidente sul piano spirituale. 

Maria Grazia Ferri

Rimani davanti ai miei occhi

Rimani davanti ai miei occhi, e lascia
che il tuo sguardo infiammi i miei canti.
Resta fra le tue stelle, e alla loro luce
lascia ch’io accenda la mia adorazione.
La terra rimane in attesa
sul ciglio della strada del mondo;
Rimani in piedi sul verde mantello
ch’essa ha steso sul tuo cammino;
e fa ch’io senta nei fiori di campo
il prolungamento del mio saluto.
Resta nella mia sera solitaria
dove il mio cuore veglia da solo;
e colma la coppa della sua solitudine,
che sente in me l’infinità del tuo amore.