Scoccano le 9:30 di un lunedì qualsiasi, quando la piatta esistenza di k@fkXXI.it viene sconvolta per sempre.

Non che abbia scelto in modo consapevole la carriera di tele-lavoratore, ma k@fkXXI.it si è ormai affezionato al suo tran-tran quotidiano. Certo, il suo stipendio è da fame e di gratificazioni morali non può riceverne, ma il fatto di lavorare da casa gli offre alcuni vantaggi. Pur non avendo rapporti umani diretti con colleghi e clienti, la sua mansione di inserimento dati è così poco impegnativa che, anche potendo, ben difficilmente sceglierebbe di tornare a lavorare in azienda, dove sussiste l’obbligo di marcare quel tedioso cartellino. Per non parlare del traffico, dei musi lunghi dei colleghi, dei pettegolezzi della centralinista, dei rimproveri dei superiori, delle rigide regole della convivenza aziendale: tutte seccature che sono diventate per lui niente più che un amaro ricordo.

Se infatti oggi, in questo lunedì qualsiasi, intendesse fare shopping alle 11 di mattina, nessuno glielo potrebbe impedire. E se domani desiderasse ascoltare un po’ di musica potrebbe farlo per ore senza sentirsi disapprovato. E di chi è il merito? Ma delle sue amate macchine, ovviamente! Il computer, la stampante, lo scanner e il fax sono talmente affidabili e costanti nelle loro performances, che gli garantiscono quella serenità d’animo che nelle aziende, così piene di esseri umani, è pressoché introvabile.

E così, fino a questo lunedì qualsiasi, la giornata-tipo di k@fkXXI.it è un percorso solitario, ma senza intoppi o turbamenti. Fra uno sbadiglio e l’altro, il tele-lavoratore è solito alzarsi intorno alle 9, sciacquarsi il viso, fare colazione, accendere il suo computer, scaricare la posta elettronica, inserire i dati, predisporre i file da inviare alla sua mailing-list, chattare con qualche web- amico, cuocersi un piatto di minestra, pranzare innanzi al lettore del TG2- Ore13, sorseggiare un caffè di moka in compagnia della Brooke di “Beautiful”, scandagliare i fax pervenuti durante la sosta-pranzo, ritoccare alcune foto, sentire telefonicamente un paio di collaboratori, redigere lettere commerciali da inviare a clienti-potenziali e, intorno alle 18, premiarsi con una bella regata virtuale nel grande oceano di Internet, con un video-gioco di ultima generazione, oppure con un’occhiata a ciò che stanno facendo i suoi amici virtuali di Facebook.

Per quanto strano e inatteso possa sembrare, anche in un lunedì qualsiasi come questo possono verificarsi eventi in grado di sconvolgere, e per sempre, la vita qualsiasi di un tele-lavoratore qualsiasi.

Dopo aver fatto colazione, k@fkXXI.it accende il computer, si connette alla rete e lancia il programma di posta elettronica. Ed ecco la sorpresa: fra i vari messaggi di lavoro in entrata se ne è insinuato uno che gli fa sbarrare gli occhi. Il mittente gli è del tutto sconosciuto: si tratta di un certo Block, il cui indirizzo è Block@JosefK.it

k@fkXXI.it apre il messaggio e legge: “Colpevole comunque”.

E nient’altro! Non ci sono allegati, né firme, né spiegazioni di alcun tipo. k@fkXXI.it scuote il capo e cancella il messaggio. Svuota anche il cestino. E riprende a lavorare, sforzandosi di dimenticare la novità mattutina.

Scrive una relazione, scambia alcune idee via mail con due dei suoi superiori, riceve e rispedisce diversi fax.

Poi, verso mezzogiorno, scrive un messaggio, clicca sul tasto Invia e Ricevi e si alza per andare a preparare il pranzo. Quando torna innanzi al monitor, con un grissino fra i denti, nota che il programma anti-virus ha impedito la spedizione: Il messaggio non è stato inviato perché la connessione al computer remoto è stata interrotta.” Dice così la finestra di dialogo che si è aperta.

«Ehi, che cosa…?» inveisce k@fkXXI.it, inalberato per l’inconveniente. «Io ho bisogno di spedire questo messaggio entro dieci minuti!» protesta verso il monitor.

Riprova una decina di volte, ma non c’è verso di spuntarla.

Allora spegne il computer, lo riaccende e riprova: nulla da fare. Guarda l’orologio. «La pasta, per Dio!»

Corre in cucina e si trova innanzi un disastro: l’acqua è fuoriuscita dalla pentola e ha spento il fornello. Non ci sono perdite di gas, ma il soqquadro generale lo fa bestemmiare ugualmente.

Cerca di sistemare alla bell’e meglio il piano-cottura e il pavimento, fa ripartire la fiamma azzurrognola e torna al suo computer. Lancia di nuovo il collegamento a Internet notando che, nel frattempo, ha ricevuto due messaggi. Il mittente del primo è Block e il contenuto è identico al precedente: “Colpevole comunque”.

Il mittente del secondo è invece il collega Huld@avvHuld.it che scrive:

“Ehi, ho ricevuto questo strano messaggio da parte tua: di che si tratta?” Nella riga sotto appare, ricopiata, la frase misteriosa: “Colpevole comunque”. «Ma non te l’ho mandato io!» grida il tele-lavoratore in preda al panico.

Riacquistata una calma apparente, k@fkXXI.it risponde al collega Huld@avvHuld.it, sempre via e-mail, spiegandogli che è stato lui stesso, k@fkXXI.it, il primo a ricevere da un certo Block il messaggio malefico e che non solo non ha la più pallida idea di che cosa significhi, ma lui non avrebbe mai e poi mai scritto né, tanto meno, inviato, simili fesserie ai suoi collaboratori.

Allora spegne il computer e, agitato come non mai, pranza di fronte al televisore.

Nel pomeriggio, però, la situazione precipita ulteriormente.

Quando riaccende il computer, ecco nella cartella della posta in arrivo altri 4 nuovi messaggi. Due sono di Block e il loro contenuto è sempre il medesimo. Due sono invece dei supervisori del suo lavoro, ovvero gregor@samsa.it e scarafaggio@nonuomo.it che, a differenza di Huld@avvHuld.it, sembrano decisamente infuriati.

k@fkXXI.it risponde a entrambi, giustificandosi come con Huld@avvHuld.it. Quando però ha inviato la sua risposta, ecco che la cartella della posta in entrata contiene 8 nuovi messaggi: 4 di altri colleghi e 4 di Block.

«Ehi, si può sapere che cosa diavolo sta succedendo?» si chiede il tele- lavoratore ormai in preda a una disperazione che non è solito provare. Si alza in piedi, impreca contro un atroce destino, gli salta in mente la parola “complotto”, batte i pugni sulla scrivania. Poi, recuperata un po’ di calma, prende la rubrica telefonica e cerca il numero del tecnico informatico che gli ha installato il computer. Prova a chiamare una decina di volte, ma inutilmente: il numero è sempre occupato.

Torna a connettersi alla rete. Manco a dirlo, ecco lì 16 nuovi messaggi belli pronti per essere maledetti.

k@fkXXI.it comprende che qualcosa di tremendo sta accadendo al suo computer e così decide di spegnerlo una volta per tutte, più che altro per alzare un argine dentro di sé che impedisca l’esondazione di un’ira incontrollabile.

Al ventiseiesimo tentativo, il laboratorio informatico risponde, ma il tecnico che lui sta cercando si trova presso un cliente. E nessuno degli altri dipendenti si dichiara disponibile a prendere in carico il suo caso.

«Ditemi almeno di che cosa si tratta e cosa posso fare…»
«Beh, non l’ha capito da solo?»
«No, io sono un semplice utente, non ho mai messo le mani dentro un

computer in vita mia!»
«Si tratta di un virus. Sa che cosa sono i virus, giusto?»
«Sì, ovviamente ne ho sentito parlare, ma io possiedo un computer da

poco tempo e non mi era mai capitato. Come posso rimediare?»
«Troppo lungo da spiegare. Facciamo così: prendo il messaggio per il

collega. Quando ritorna, la farò richiamare. Di più non posso fare.»
Devono passare tre giorni e tre notti prima che il tecnico giunga a casa sua. Tre giorni e tre notti in cui k@fkXXI.it viene sommerso di telefonate da
colleghi e clienti, persino dal suo superiore, da un parente americano, da una ex fidanzata che ora vive all’altro capo del mondo e da un giornalista lappone. Tutti quanti si lamentano per aver ricevuto il messaggio infettato e, in particolare, per averlo ricevuto da lui, k@fkXXI.it, una persona ritenuta innocua sino a pochi giorni prima.

Viene il quarto giorno e, finalmente, il tecnico fa la sua apparizione.

Brizzolato, occhiali da miope, camice bianco e fare da medico chirurgo, si rivolge a k@fkXXI.it. «Allora, vediamo un po’ che razza di virus è penetrato in questo sistema. Ecco qua, tutto chiaro: si tratta di MJY#88CX. Lo conosco. E’ un virus di vecchia data, che sembrava debellato da tutti gli anti-virus esistenti, soprattutto da quello che ha lei, ma evidentemente qualcuno si è sbagliato o è stato affrettatamente ottimista.»

«Pensa che si possa sistemare?»

«Che domande… Ora le riformatto l’intero sistema, le installo un nuovo e più efficace anti-virus e vedrà che non avrà più noie per qualche tempo.»

«Per qualche tempo?»

«Sì, sono cose che capitano a tutti e che, prima o poi, ritornano. Non lo sa?»

«A me, veramente, non era mai capitato.»

«Beh, si consideri fortunato. Nessuno di noi è del tutto immune: io stesso devo lottare quotidianamente contro gli hakers. E lo sa cosa si sta ipotizzando nel nostro ambiente? Che siano le stesse imprese produttrici degli anti-virus a metterli in giro per la rete. La ragione, la immagina…»

«Capisco… un po’ come in quest’isola dove, fino a qualche anno fa, gli incendi estivi venivano appiccati dai disoccupati per avere più possibilità di essere assunti come Vigili del Fuoco.»

«Già, in questo mondo le cose funzionano proprio così. Per cui, a tele- lavoratori come lei non resta che attrezzarsi per difendere il proprio computer, e voi stessi, da questi vili attacchi. Bene, sono trecento euro.»

«La ringrazio di cuore» risponde k@fkXXI.it avvertendo una strana sensazione per l’accento posto dal tecnico sulla frase “e voi stessi”.

Mentre compila l’assegno, gli viene un’idea. «Visto il prezzo del suo intervento, se dovesse ricapitarmi di avere bisogno, posso contattarla direttamente?»

«D’accordo: le lascio il numero del mio cellulare, così potrà scavalcare il laboratorio, avermi più rapidamente e a tariffa dimezzata!»

Passano un paio di settimane, quasi interamente spese a rimettere a posto gli archivi e a telefonare ai supervisori e ai clienti che si sono lamentati nei suoi confronti.

Ma ecco che, una volta pronto per riprendere il lavoro a pieno ritmo, il computer di k@fkXXI.it viene nuovamente contagiato!

Questa volta il messaggio, sempre proveniente da Block, dice: “Hai assaggiato e sei colpevole.”

Terrorizzato, k@fkXXI.it rimane immobile una decina di minuti innanzi a quest’altra frase sibillina. Poi si risolve, cancella la mail, prende il telefono e cerca il tecnico al cellulare. «Mi sa che abbiamo avuto una ricaduta.»

«Domattina sarò da lei. Tenga il computer spento.»

L’indomani, puntuale come la morte, il tecnico col lindo camice fa la sua apparizione all’appartamento di k@fkXXI.it e comincia a visitare la macchina. «Mio caro, lei è vittima della cosiddetta “triangolazione”»

«Che roba è?»

«Qualcuno si diverte a trasmettere agli indirizzi della sua rubrica e-mail un messaggio che contiene un virus e che, a tutti loro, sembra provenire proprio da lei. Davvero diabolico, pochi dei miei clienti ne soffrono, ma non è la prima volta che mi capita di vedere uno scherzo simile.»

«E allora?»
«E allora niente: si fa come l’altra volta e si riparte!»

Nonostante la parcella dimezzata, k@fkXXI.it comincia a domandarsi se i vantaggi del lavorare da casa non comincino ad essere annientati da questi inconvenienti che comportano, oltre ai rimproveri dei supervisori, anche perdite di tempo, di denaro e una certa dose di fastidio personale.

Mentre k@fkXXI.it accompagna il tecnico alla porta, il campanello suona un paio di volte. «Posta: c’è da firmare una raccomandata!»

La missiva proviene da un cliente il quale annuncia un’azione legale nei suoi confronti per l’invio, ripetuto ben venti volte, di messaggi infettati da virus. k@fkXXI.it, atterrito per una simile presa di posizione, telefona a un avvocato, dal quale viene a sapere che è indispensabile dimostrare al cliente infuriato che la responsabilità del danno non cade affatto su di lui, ma su estranei che lo hanno preso di mira. Dichiarazione che lo tranquillizza in quanto k@fkXXI.it, servendosi della testimonianza del tecnico, potrebbe facilmente dimostrare di essere vittima di un malvagio raggiro.

Ma un’altra tegola cade sulla sua testa. Il telegiornale, infatti, dà una notizia che lo riguarda da vicino: «E veniamo all’epidemia che sta infettando milioni di computer nel nostro Paese. Guardia di Finanza e Carabinieri hanno tenuto oggi una conferenza-stampa in cui sono stati presentati i risultati delle prime indagini. Pare che l’haker responsabile del contagio di massa abbia diffuso in rete un virus debellato da molto tempo ma, proprio per questo, ritenuto inoffensivo e dunque trascurato dagli anti-virus oggi in circolazione. E’ ormai certo che il colpevole si nasconda dietro la maschera di innocenza di un semplice tele-lavoratore. Il resto è ancora coperto dal segreto istruttorio…»

In quel medesimo istante il campanello squilla nuovamente. «Sì…?»
«Carabinieri: apra, per favore!»
k@fkXXI.it sente il sangue raggelarsi nelle vene.

I due gendarmi entrano con irruenza e lo squadrano da capo a piedi come se si trattasse di un serial-killer ricercato dalla polizia di tutto il mondo. Accendono il computer, ne esaminano tutti i file, il programma di posta

elettronica, il vano floppy-disk e quello CD-DVD e infine aprono la scatola del computer e ne ispezionano attentamente il contenuto.

«Lei è in arresto!» gli comunicano all’unisono.
«Ma io sono innocente! E lo posso provare.»
«Ah sì? E come?»
«Ora telefono al tecnico e ve lo faccio dire da lui: sono stato vittima di

una triangolazione, un brutto scherzo combinato ai miei danni da un farabutto.»

«Un farabutto, eh? Intanto ci segua in caserma.»

«In caserma? Ma io non ho mai fatto del male a nessuno, né mi sognerei mai di farlo, e, anche volendo, non sarei neppure in grado di…, ehi, lasciatemi, ho detto lasciatemi!»

Due ore più tardi, k@fkXXI.it si risveglia in un letto d’ospedale. Al suo fianco, un’infermiera gli sta sistemando una flebo nel braccio. Alla spalliera, invece, un carabiniere sull’attenti ha lo sguardo rivolto alla porta.

«Dove mi trovo? E cosa è successo?» chiede all’infermiera.
«Finalmente ti sei risvegliato!»
«Ho fatto una domanda: cosa mi è successo?»
«Hai avuto un collasso, ieri, a casa tua, quando i carabinieri sono venuti

per arrestarti.»
«I carabinieri?» k@fkXXI.it alterna uno sguardo inebetito fra

l’infermiera e l’appuntato.
«Non ricordi proprio nulla?»
«Ma io credevo fosse…, credevo fosse solo un incubo o un’allucinazione.

Invece tu mi stai dicendo…». Poi, rivolgendosi al carabiniere: «Ehi, tu, non mi dirai che io sono davvero sospettato di essere quel maledetto haker

L’uomo in uniforme non risponde, lo sguardo fisso verso la porta.

k@fkXXI.it avverte un turbinio di emozioni a cui non è abituato. Lo sbalordimento cede il passo alla collera e, questa, prima alla paura, poi allo sconforto e infine alla rassegnazione. Dopo una smorfia di disgusto indirizzata all’uomo in uniforme, k@fkXXI.it si rivolge all’infermiera.

«Gli esseri umani non dovrebbero mai rapportarsi direttamente l’un l’altro: per questo c’è stato il progresso tecnologico. Le macchine fanno da filtro, da intermediario e, poiché parlano tutte lo stesso linguaggio, solo attraverso di esse possiamo capirci. Ora intuisci perché faccio il tele- lavoratore.»

«Ma è proprio questo il tuo problema.»
«In che senso?»
«Nel senso che è stato proprio il tele-lavoro a trasmetterti il virus.»
«Non è vero: è stato l’haker e l’haker è un uomo, non una macchina. Si

tratta di uno psicolabile che vuole interferire con la bellezza delle macchine per impedire che ci comprendiamo.»

«Io invece credo che siano state proprio le macchine a farti ammalare. Ma ecco che arriva il primario, il dottor Block, che te lo spiegherà meglio di me.»

«Come hai detto che si chiama?»
«Dottor Block. Perché quella faccia? Lo conosci già?»
«Spero proprio di no.»
Preceduto da due studenti di medicina, il dottor Block fa in quel momento

il suo ingresso in camera e lancia uno sguardo di sfida a k@fkXXI.it che impietrisce: Block ha le fattezze del tecnico informatico che gli ha spillato quattrocentocinquanta euro!

«Tu?! Ma tu sei…! Che cavolo ci fai in questo ospedale?»

Il dottor Block non sembra far caso al paziente e si rivolge ai suoi studenti: «Come vi ho spiegato ieri a lezione, l’umanità si trova da due settimane ad affrontare un nuovo e temibile tipo di virus che non rientra in alcuno dei sette gruppi della classificazione ufficiale. Voi sapete che i virus possono essere a singola o a doppia elica, ma questo qui, che è stato chiamato provvisoriamente MJY#88CX, ha un DNA a tripla elica e sembra originarsi da Internet. Per questa ragione, i soggetti più esposti sono i tele-lavoratori, come il paziente che stiamo esaminando, ma questi possono poi infettare qualunque essere umano e qualunque computer con cui entrano in contatto. Ne consegue che nessuno può considerarsi immune ed è per questo che è allo studio un vaccino ad hoc. I sintomi di questa malattia sono molto particolari: i soggetti contagiati tendono a svenire e a restare privi di sensi per giornate intere. Quando poi si risvegliano, manifestano degli stati allucinatori e fanno strane associazioni.»

Al tele-lavoratore non resta che svenire nuovamente.

L’indomani, al risveglio dal suo secondo sonno catalettico, k@fkXXI.it nota che nella stanza è rimasto solo il carabiniere di piantone. Ora si sente bene e tutto diventa perfettamente chiaro nella sua mente: quel demone di Block, assoldato da un’azienda che produce anti-virus, ha prima infettato il suo computer, quindi ha finto di venire a ripararlo travestito da tecnico; quando poi il virus ha contagiato il suo organismo, Block è apparso in ospedale travestito da medico, ha definito “stati allucinatori” i suoi momenti di chiarezza ed è riuscito a scaricare su di lui l’intera responsabilità dell’epidemia. Poiché può ricostruire tutto l’accaduto, k@fkXXI.it si sente ora in grado di provare la colpevolezza di Block e il suo diabolico piano persecutorio. Si rizza sul cuscino per chiamare a sé l’appuntato, ma, ripensandoci, desiste.

Ha infatti intuito, e a ragione, che non servirebbe a nulla.